“Senza i poveri, la Chiesa non è se stessa”
“Senza i poveri, la Chiesa non è se stessa, perché è in loro che Dio rivela il suo volto”. È la convinzione di padre Frédéric-Marie Le Méhauté, teologo francescano e autore del volume “Rivelato ai più piccoli” (Castelvecchi), a commento dell’esortazione apostolica “Dilexi te” di papa Leone XIV. Nel testo, il Pontefice propone una visione della povertà come luogo teologico, e della Chiesa come comunità, che ritrova la propria verità solo accogliendo e camminando con gli ultimi.
Padre Le Méhauté, il Papa scrive che i poveri non sono “un problema da risolvere, ma fratelli e sorelle da accogliere”. Come cambia lo sguardo della Chiesa se parte da qui?
Siamo abituati a vedere la povertà in termini di mancanza. I poveri – diciamo – sono “senza”: senza denaro, senza storia, senza voce, senza potere. Sono coloro di cui si parla sempre senza di loro. Le Scritture, però, ci invitano a un’altra visione. “Dilexi te” ricorda che la scelta dei poveri è prima di tutto una scelta di Dio. L’opzione preferenziale per i poveri non nasce da un programma umano, ma dal cuore stesso di Dio.
Questa prospettiva cambia la teologia della povertà.
Sì. Papa Leone XIV amplifica ciò che Benedetto XVI aveva già affermato: la povertà è un luogo della rivelazione. Il Papa non si limita a dire che Gesù è nei poveri, ma va oltre: è Dio, per primo, che va incontro ai poveri. Quando incontro una persona di strada, non incontro automaticamente Gesù. Incontro una persona concreta, e in quell’incontro qualcosa della rivelazione può avvenire. È perché Dio ha scelto i poveri (non perché siano migliori) che essi diventano luogo della sua presenza. Come dice Gustavo Gutiérrez, Dio non sceglie i poveri perché sono buoni, ma perché Lui è buono.
C’è chi teme che questa scelta di Dio per i poveri escluda gli altri.
È un’obiezione antica. Ma la scelta di Dio non è esclusiva, è universale: sceglie i poveri per la salvezza di tutti. Padre Joseph Wresinski parlava di “esaustività”: se costruiamo a partire dai più forti, qualcuno resterà fuori. Se invece partiamo dai più deboli, alla fine tutti troveranno posto. È un messaggio potente: costruire la Chiesa e la società a partire dagli ultimi è l’unico modo per includere davvero tutti. C’è una differenza tra vulnerabilità e precarietà. Tutti siamo vulnerabili, ma non tutti siamo precari. La vulnerabilità è universale; la precarietà no. Non si tratta di idealizzare la povertà, che va combattuta, le cause strutturali vanno eliminate. Ma scegliere di condividere la vita dei poveri è un segno di comunione. Non servono grandi discorsi: basta restare, condividere, sedersi con loro. I poveri non chiedono parole, ma presenza. È lì che si rivela un Dio che si fa vicino.
Il Papa aggiunge che vivere come i poveri è il segno della verità della nostra missione.
Sì, perché è lì che Dio si dona. Se incontriamo Dio nei poveri, allora vivere con loro è l’unico modo per ricevere la rivelazione. E il Papa è molto lucido quando avverte: “Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi”. È un monito che riguarda tutti noi.
Lei parla anche di cecità nella Chiesa. Che cosa intende?
Papa Leone non si limita a criticare le strutture del mondo: dice con franchezza che anche la Chiesa può soffrire della stessa cecità. In Francia, ad esempio, abbiamo compreso solo recentemente quanto sia stato decisivo ascoltare le vittime di abusi per affrontare davvero il dramma della pedocriminalità. Vedere la realtà dai margini significa proprio questo: mettersi all’ascolto di chi ha sofferto, di chi è stato escluso o ridotto al silenzio. È l’unico modo per capire fino in fondo le ferite che attraversano la società e la Chiesa.
Il Papa riconosce con realismo che “ci sentiamo più a nostro agio senza i poveri”. È un passaggio molto forte.
Sì, e molto vero. I poveri disturbano le nostre abitudini, ci mettono di fronte a limiti che preferiremmo ignorare. Ma è proprio lì che inizia la conversione.
Qual è, secondo lei, il messaggio più urgente di “Dilexi te”?
Che la cura dei poveri non è un’attività tra le altre, ma fa parte dell’essere stesso della Chiesa, è la misura della sua verità. Se vogliamo incontrare Gesù nella verità, lo troveremo solo nella vicinanza e nella compagnia con i poveri. (Riccardo Benotti)