“DILEXI TE ” IL PRIMO DOCUMENTO DI PAPA LEONE (dalla “Vita del Popolo”)

Pubblicato giorno 18 ottobre 2025 - Foglio Parrocchiale, In home page, in primo piano

 

Il primo documento magisteriale di papa Leone completa un testo che stava scrivendo Francesco sull’amore verso i poveri, che deve trasformare il cuore, la cultura e le strutture di ingiustizia.

La Chiesa deve essere quella delle beatitudini”, il mandato per la comunità ecclesiale.
Sì alle opere di misericordia, sulla scorta delle prime comunità cristiane, perché “la carità non è un percorso opzionale”

 

I poveri, la nostra “scelta prioritaria”

“La condizione dei poveri rappresenta un grido che, nella storia dell’umanità, interpella costantemente la nostra vita, le nostre società, i sistemi politici ed economici e, non da ultimo, anche la Chiesa”. Lo scrive Leone XIV, nell’esortazione apostolica Dilexi te, in cui fa sua – aggiungendo alcune riflessioni – l’esortazione apostolica sulla cura della Chiesa per i poveri, e con i poveri, che papa Francesco stava preparando negli ultimi mesi della sua vita, in continuità con l’enciclica Dilexit nos. Il Papa missionario, che conosce bene il volto dei poveri, rilancia il sogno rivelato ai media da Francesco, tre giorni dopo la sua elezione: “Ah, come vorrei una Chiesa povera per i poveri!”.

“Dobbiamo impegnarci sempre di più a risolvere le cause strutturali della povertà”, il grido d’allarme: la mancanza di equità è la radice dei mali sociali”, perché “molte volte i diritti umani non sono uguali per tutti. O riconquistiamo la nostra dignità morale e spirituale o cadiamo come in un pozzo di sporcizia. E’ compito di tutti i membri del popolo di Dio far sentire, pur in modi diversi, una voce che svegli, che denunci, che si esponga anche a costo di sembrare degli stupidi”.

“L’impegno a favore dei poveri e per rimuovere le cause sociali e strutturali della povertà, pur essendo diventato importante negli ultimi decenni, rimane sempre insufficiente”, denuncia il Papa, elencando le forme delle vecchie e nuove povertà, tra cui quella delle donne, “doppiamente povere” perché vittime di esclusione, maltrattamento e violenza. Ma la povertà “non è una scelta”: “anche i cristiani, in tante occasioni, si lasciano contagiare da atteggiamenti segnati da ideologie mondane o da orientamenti politici ed economici che portano a ingiuste generalizzazioni e a conclusioni fuorvianti”. “Chiunque, perfino il nemico, si trovi in difficoltà, merita sempre il nostro soccorso”, afferma Leone XIV. “La Chiesa deve essere la Chiesa delle beatitudini”, il mandato per la comunità ecclesiale. Sì alle opere di misericordia, no al “rischio di vivere le nostre relazioni nella logica del calcolo e del tornaconto”, l’indicazione di rotta, sulla scorta della vita delle prime comunità cristiane, perché “la carità non è un percorso opzionale”.

Nel testo, Leone cita tra l’altro la figura di Sant’Agostino come “luce sicura” per la Chiesa, l’attività di quest’ultima per la cura dei malati, attraverso gli ospedali cattolici definiti “ospedali da campo nelle zone di guerra”, l’opera di monaci come S. Benedetto e degli Ordini mendicanti per contrastare “la cultura dell’esclusione”, l’attenzione alla liberazione dei prigionieri e alla condizione dei carcerati. Come ispirazione di fondo dell’esortazione apostolica, San Francesco d’Assisi, “icona” di questa “primavera spirituale”, la cui vita “fu una continua spogliazione”. “L’educazione dei poveri, per la fede cristiana, non è un favore, ma un dovere”, il riferimento al contributo che i diversi Ordini religiosi che operano in tale ambito hanno dato nella storia della Chiesa. “La Chiesa ha sempre riconosciuto nei migranti una presenza viva del Signore”, l’accenno a uno dei temi portanti del magistero del suo predecessore. “La tradizione dell’attività della Chiesa per e con i migranti continua, e oggi questo servizio si esprime in iniziative come i centri di accoglienza per i rifugiati, le missioni di frontiera, gli sforzi di Caritas Internationalis e di altre istituzioni”, fa notare Leone: “Il Magistero contemporaneo ribadisce chiaramente questo impegno”, aggiunge menzionando papa Francesco e i quattro verbi in cui ha riassunto la sfida delle migrazioni: “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Verbi che “non valgono solo per i migranti e i rifugiati”, ma “esprimono la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali”. “La Chiesa, come una madre, cammina con coloro che camminano”, commenta ancora il Pontefice: “In ogni migrante respinto è Cristo stesso che bussa alle porte della comunità”. Non manca un appello, rivolto ai politici e alla Chiesa, ad ascoltare i movimenti popolari, altrimenti “la democrazia si atrofizza”.

“La carità è una forza che cambia la realtà, un’autentica potenza storica di cambiamento”, assicura il Papa, esortando ad avviare “con urgenza” ogni impegno per “risolvere le cause strutturali della povertà. Si tratta di ascoltare il grido di interi popoli, dei popoli più poveri della terra”. “È doveroso continuare a denunciare la dittatura di un’economia che uccide e riconoscere che, mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice”, scrive Leone XIV sulla scia di papa Francesco, stigmatizzando lo “squilibrio” prodotto da “ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria e negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune”, instaurando “una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole”. “La dignità di ogni persona umana dev’essere rispettata adesso, non domani”, l’appello del Papa, che citando la Dilexit nos parla di “alienazione sociale”, per cui “diventa normale ignorare i poveri e vivere come se non esistessero”. Per il cristiano, i poveri non sono “un problema sociale”, ma “una questione familiare”, “sono dei nostri”, non possono essere abbandonati al proprio destino. “Vedere qualcuno che soffre ci dà fastidio, ci disturba. Questi sono sintomi di una società malata, perché mira a costruirsi voltando le spalle al dolore”. “Non di rado il benessere rende ciechi, al punto che pensiamo che la nostra felicità possa realizzarsi soltanto se riusciamo a fare a meno degli altri”, osserva Leone, secondo il quale “i poveri possono essere per noi come dei maestri silenziosi, riportando a una giusta umiltà il nostro orgoglio e la nostra arroganza”. I poveri, allora, possono evangelizzarci, perché “ci fanno riflettere sull’inconsistenza di quell’orgoglio aggressivo con cui spesso affrontiamo le difficoltà della vita. Rivelano la nostra precarietà e la vacuità di una vita apparentemente protetta e sicura”. L’opzione preferenziale per i poveri “è determinante”, conclude il Papa, perché “i poveri per i cristiani non sono una categoria sociologica, ma la stessa carne di Cristo”. (M.M.N.)

commento Persone che sono un messaggio per la comunità

L’esortazione apostolica Dilexi te è il testimone che, nella staffetta tra i successori di Pietro, passa da Francesco a Leone.
Ognuno ha fatto e farà la sua parte nella corsa, ma senza mai lasciar cadere la centralità, nell’esperienza cristiana, dei poveri.
Non un aspetto residuale della realtà, ma l’oggetto/soggetto di una scelta preferenziale.
Contrariamente a come va il mondo, i poveri sono una “scelta prioritaria” che “genera un rinnovamento straordinario sia nella Chiesa che nella società”. Purché si sia capaci di liberarsi dall’autoreferenzialità e di ascoltare il loro grido.
Fin dalle prime battute, è chiaro che i poveri non sono da identificarsi come i beneficiari delle nostre buone azioni sociali. Sono, piuttosto, un messaggio rivolto a ciascuno e alla società.
Nei poveri il Signore della storia “ha ancora qualcosa da dirci”. È il tema, caro a Francesco, dei poveri che evangelizzano i ricchi, resi ciechi dal benessere.

Che cosa è la povertà? Dannazione o maledizione? E chi sono i poveri?
Coloro che sono esclusi “dal tenore di vita minimo accettabile”, come dice l’Europa?
Le vittime dell’ingiustizia, dei cambiamenti climatici, dell’economia che uccide, delle migrazioni forzate?
Della cultura dello scarto e di una certa “meritocrazia” per la quale “sembra che abbiano meriti solo quelli che hanno avuto successo nella vita”?
C’è una cosa che mi ha colpito. In tutta l’esortazione “sull’amore verso i poveri” si cita la Caritas una sola volta, nel capitolo dedicato all’accompagnamento dei migranti. Nel resto del documento nulla di nulla.
Non suona strano, in una società nella quale ogni volta che si parla dei poveri la prima a essere interpellata è la Caritas, nelle sue espressioni nazionale, diocesana, territoriale? Una dimenticanza?
Papa Leone e papa Francesco ci raccontano, nuovi compagni sulla strada di Emmaus, come le Scritture fin dall’inizio mettano al centro il povero. E come la stessa vita di Cristo sia stata segnata da uno stile di povertà. E come i primi cristiani abbiano spezzato con i poveri il loro pane. E così avanti, dagli antichi padri alle comunità monastiche, dagli ordini mendicanti ai profeti sociali, fino alla dottrina sociale della Chiesa, al Concilio, ai giorni nostri. “Il cuore della Chiesa, per sua stessa natura, è solidale con coloro che sono poveri, esclusi ed emarginati, con quanti sono considerati uno ‘scarto’ della società.
I poveri sono nel centro stesso della Chiesa”. L’attenzione ai poveri è, dunque, “parte essenziale dell’ininterrotto cammino della Chiesa”.
La Caritas, a ogni livello, serve soprattutto per questo. Non per sostituirsi alla comunità nella testimonianza della carità, ma per ricordare a tutti che “la carità è una forza che cambia la realtà, un’autentica potenza storica di cambiamento”. Per questo “il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una «questione familiare»”. E dunque “il rapporto con loro non può essere ridotto a un’attività o a un ufficio della Chiesa”.
La carità non si delega e i poveri sono un messaggio, un impegno per tutta la comunità cristiana, non un “compito” per la Caritas.
I poveri mettono alla prova la nostra credibilità di cristiani. L’orizzonte per la comunità cristiana oggi (e sempre) è descritto con disarmante semplicità al numero 120:
“L’amore cristiano supera ogni barriera, avvicina i lontani, accomuna gli estranei, rende familiari i nemici, valica abissi umanamente insuperabili, entra nelle pieghe più nascoste della società. Per sua natura, l’amore cristiano è profetico, compie miracoli, non ha limiti: è per l’impossibile. L’amore è soprattutto un modo di concepire la vita, un modo di viverla.
Ebbene, una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno”. Una Chiesa che ama, povera, per i poveri. (Paolo Valente, vice direttore Caritas italiana)