DALLA VITA DEL POPOLO – “Genitori alla ricerca di un equilibrio tra il fare e l’esserci”

Pubblicato giorno 6 dicembre 2025 - Foglio Parrocchiale, In home page, in primo piano

 

Intervento A margine del recente Giubileo del mondo educativo

Scene di normale torpore televisivo. Il padre ripete alla figlia: “Martina, ricordati che niente è per sempre!”. Martina cresce e, adolescente, inscena la sua vitale ribellione verso il genitore con parole pesanti e un sorriso furbetto: “Papà, ho trovato qualcosa che è per sempre!” e parte in sottofondo il claim pubblicitario dell’abbonamento a una compagnia telefonica. L’offerta è per sempre, l’umanità è salva…

Stop. Fermiamoci. Voglio scendere. E pensare…

La pubblicità parla a tutti noi, deve blandirci per indirizzare le nostre scelte (e le nostre vite) e per questo deve strizzare l’occhio alla nostra quotidianità e ai nostri (dis)valori.

Torniamo a Martina e al suo papà.

Ma non eravamo noi adulti che dovevamo vivere dei “per sempre” (ideali, legami, progetti di vita, istanze etiche) scelti e distillati da ciascuno, a volte con fatica e dolore, attraverso i giorni trascorsi, le scarpe consumate, le persone incontrate?

Non eravamo noi adulti che dovevamo insegnare a chi sarà adulto dopo di noi l’importanza di questi “per sempre” e spiegare loro che, anche se a volte le parole “per sempre” sembrano soffocare nel nostro essere imperfetti, comunque restano l’ossigeno delle nostre vite, anche quando più ne sembriamo lontani?

Non eravamo noi adulti che dovevamo capire e far capire che questi “per sempre” sono parte fondante del senso dell’esistenza di ogni persona?

Che, pur contemplando il rischio che il mio sogno potrebbe non realizzarsi o realizzarsi quando io non ci sarò più, ho il coraggio di pensarlo, pronunciarlo e viverlo fino in fondo? Perché, come sapeva Martin Luther King, spesso i grandi sogni hanno bisogno della pazienza del seminatore, perché raccolti dalle generazioni che verranno dopo.

No. Travolti e distratti dalle immagini di tanti idoli ci siamo dimenticati dei “per sempre”, tanto da arrivare a convincerci che non esistano, che nulla è per sempre.

Ci siamo anche dimenticati che uno dei fondamenti dei nostri “per sempre” è la vocazione, la chiamata che ciascuno di noi è tenuto a riconoscere e alla quale rispondere per abitare una vita vera.

Una vocazione (termine oggi desueto, da pronunciarsi a bassa voce, quasi con vergogna perché identifica l’idealista, l’ingenuo che crede ancora, appunto, ai “per sempre”) che è da intendersi non solo nella sua accezione religiosa, che è parziale, riguarda, cioè, solo uno dei possibili aspetti dell’uomo, ma che investe e dà valore a ciascuna delle pressoché infinite possibilità di sviluppo di ciascuno di noi.

Luigino Bruni, nel suo libro “La fedeltà e il riscatto” (Ed Qiqajon, 2023) ci ricorda che “Solo nelle vocazioni, religiose o laiche (ogni vocazione umana è religiosa e laica insieme) c’è un «per sempre», anche se un giorno ci fermiamo e torniamo a casa. E quando qualcuno pronuncia un «per sempre» è dentro una vocazione, anche se non lo sa”.

E una volta accolta la dimensione della vocazione il nostro cuore acquista il coraggio di aprirsi e incarnare, vivendo, la realtà che “…Siamo più grandi della nostra felicità e della nostra libertà, e, quindi, possiamo decidere di metterle in secondo piano per qualcos’altro che vale di più: la verità del nostro cuore. Sta qui la dimensione tragica delle vocazioni vere, che sono, a un tempo, la libertà massima e la massima non libertà” (L. Bruni, ibidem).

È, poi, utile ricordare un paradosso dei “per sempre”, che cioè si nutrono anche dei limiti del nostro quotidiano, perché lo vivono assieme a noi. Sono le tante e minuscole tessere delle nostre ore e dei nostri giorni imperfetti che, istoriate dalla vocazione (che sola sa imprimere una storia, appunto, un sigillo e un senso veri), vanno con pazienza a comporre il bellissimo mosaico infinito dei “per sempre” vissuti da ciascuno.

L’accettare che l’alto, il “per sempre”, sia impastato anche con il fango dell’imperfezione ci dà il coraggio di mettere sul tavolo quanto abbiamo di più prezioso: la nostra vita. Solo se riconosciamo i nostri limiti saremo infatti in grado di pronunciare dei “per sempre” veri, delle promesse verso l’infinito (“voti”, altro termine fuori commercio) che saremo capaci di vivere consapevoli dell’impellenza di essere vigili, sentinelle della nostra vita, ancorché capaci di perdonarci e perdonare quando una veglia troppo lunga ci ha per un momento distratti dalla “retta via”. Ci siamo solo fermati, o ritornati a casa. Ma, in fondo, siamo sempre pronti a ripartire.

E questo riguarda tutti gli adulti: genitori e non.

Se, però, non riusciamo a riscoprire i fondamenti e il valore di questi “per sempre” e di viverli, se, cioè, non riusciamo a essere adulti, è difficile pensare che chi verrà dopo di noi non raccolga e amplifichi la disillusione, l’assenza di valori, la “crisi del senso” che avvelenano i nostri giorni e generano abulia, ansia e depressione.

Perciò, cara Martina, faccio una carezza alla tua giusta impertinenza, ma ti dico, anche con un sorriso, di spegnere il tuo telefonino perché, per fortuna, tuo papà ti ama e puoi contare su di lui (e su di noi). Per sempre.

Luca de Mattia e Serafino Pitingaro (Famiglie 2000 odv)