Editoriale di Lucio Bonomo – Le morti del nostro mare

Pubblicato giorno 10 marzo 2023 - Foglio Parrocchiale

 

12 Domenica 12 marzo 2023

LA VITA DEL POPOLO

Editoriale di Lucio Bonomo

Le morti del nostro mare

Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio si è consumata, lungo le coste di Cutro, in Calabria, l’ennesima tragedia
del mare, questa volta assai più grave delle precedenti che si erano
verificate da alcuni anni a questa parte, con una settantina di morti, tra i quali ventotto
minori, e un’altra trentina di dispersi.
Tutta la settimana scorsa c’è stato un susseguirsi di accuse e polemiche contro le Istituzioni pubbliche per il
mancato soccorso ai naufraghi, e soprattutto verso il Governo e la Guardia
costiera, con l’inevitabile rimpallo delle responsabilità.
A tutto questo si aggiunge il silenzio della premier Giorgia Meloni, occupata in quei
giorni nella visita di Stato in India, rotto solamente dopo una settimana dal naufragio, per
tentare di spiegare il pasticcio dei soccorsi e porre in qualche modo una pezza alle
inopportune e, per molti, indegne parole del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi,
pronunciate all’indomani della tragedia: “La disperazione non può mai giustificare condizioni
di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”.
Le responsabilità Due, attualmente, sono gli aspetti oggetto di polemiche e di indagini da
parte della magistratura.
Anzitutto quello degli scafisti, criminali che speculano sui disperati che vogliono fuggire
dalle guerre e dalla miseria, verso i quali tutti invocano sanzioni più severe. Il Papa stesso, all’Angelus di
domenica scorsa, ha chiesto che vengano fermati i trafficanti di esseri umani
e che “le limpide acque del Mediterraneo non siano più insanguinate da tali drammatici
incidenti!”.
In secondo luogo, quello inerente la mancanza dei soccorsi e delle presumibili falle nella
catena di comando.
La premier si è giustificata accusando Frontex (l’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera)
di non aver segnalato alcuna situazione “di stress” o di pericolo, nonché della
assenza (da parte di chi?) di qualunque Sos. In ogni caso, a due settimane dal dramma,
non si riesce ancora a capire chi e a che livello di responsabilità, abbia deciso di classificare
la segnalazione di Frontex solo come un evento di polizia, per cui sono uscite le corvette
della Guardia di finanza (rientrate ben presto a causa delle condizioni del mare), e non
invece anche di ricerca e soccorso (Sar).
Sta di fatto che la Guardia costiera, che fino ad un recente passato nelle operazioni di
salvataggio si spingeva anche molto al di fuori dalle nostre acque territoriali ora, per
la rigidità e per la difficoltà nell’interpretare le “regole di ingaggio” (ridisegnate dai
precedenti Governi, nei quali Matteo Salvini era ministro dell’Interno), è rimasta ferma
in porto.
E’ evidente che, su questa vicenda, oltre all’interpretazione delle normative, ha inciso
non poco il clima politico “anti-migranti” dal quale si sentono condizionate e, a volte,
ingessate, le Istituzioni preposte ai salvataggi come, appunto, la Guardia Costiera e le
stesse Ong.
Europa e migrazioni Se è vero che la magistratura indagherà sui tre scafisti arrestati e su
ciò che non ha funzionato nei soccorsi, rimane tuttavia aperto in tutta la sua drammaticità il problema della tragedia dei 70 e più morti che potevano e dovevano essere salvati.
Ma anche del dramma di tutte quelle persone che cercano di fuggire in qualunque modo da
guerre, persecuzioni e fame e che tante volte non trovano nell’Europa, che pur è compatta nel fornire armi per consentire all’Ucraina di difendersi dalla Russia, la solidarietà e l’accoglienza necessarie.
Purtroppo, a complicare le cose, ci stanno anche le gravi carenze e i difetti del “Regolamento
di Dublino” del 2013.
Il criterio “del primo ingresso” dispone, infatti, che alla prima accoglienza e all’esame delle domande di asilo debba provvedere lo Stato costiero di sbarco.
Così che, in questi dieci anni, i Paesi esposti sul Mediterraneo come Italia, Grecia, Cipro, Malta e Spagna, si sono trovati, di fatto, a salvare e a gestire in proprio gli arrivi di decine di migliaia di
persone, con scarsa o debole solidarietà e disponibilità da parte degli altri Paesi europei (alcuni
con espliciti rifiuti), ad accogliere “quote” di richiedenti asilo.
Con in più il peso di sentirsi umanamente e, forse, anche moralmente coinvolti nella morte di tante persone.
Stranieri come risorsa In Italia ci sono circa 5 milioni di stranieri, pari all’8,6% della popolazione
(in Francia sono il 9%, in Germania il 12,5 e in Spagna il 14). Nonostante certe strumentalizzazioni che fanno leva sulla paura dei cittadini di fronte allo spettro di essere invasi dagli stranieri, la nostra
economia, dato il calo della popolazione e il fenomeno dei nostri giovani in fuga all’estero, ha bisogno di personale.
E’ di questi giorni la segnalazione da parte delle imprese della necessità di stranieri per coprire tantissimi posti di lavoro (si parla di circa trecentomila).
Anche in Veneto si cerca disperatamente personale per settori vitali, come edilizia, agricoltura, turismo e trasporti.
Forse, più che pensare solo ai respingimenti, sarebbe necessario, come avviene in altri
Paesi, quali Germania e Francia, formare professionalmente giovani immigrati, anche se “illegali”, per integrarli inserendoli nel mondo del lavoro.
Certe politiche miopi verso ogni tipo di immigrazione stanno mostrando la corda e rivelandosi un vero boomerang per il nostro sistema produttivo.
Conveniamo, però, che rimangono ancora aperti il problema dell’assenza di ogni corridoio umanitario per chi è nella condizione di rifugiato e quello della regolamentazione dei flussi migratori, attraverso politiche di sostegno e coinvolgimento dei Paesi di provenienza.
In questo, però, grava quanto mai anche la responsabilità e la latitanza dell’Unione europea.